Tutti i trucchi per una sua buona riuscita: dalla temperaura dell'olio (più bassa è più salutare), alla quantità, ai componenti: lo chef Stefano Ciotti ci svela i segreti per preparare la base per antonomasia di molti piatti della cucina italiana
Il ragù non può farne a meno, ma anche il risotto, la pasta con le vongole e l’arrosto. Difficile trovare pietanze degne del loro nome cucinate senza il soffritto, la base per antonomasia di moltissime preparazioni gustose della cucina italiana. Ma un vento nuovo soffia, in direzione manco a dirlo salutista, anche per questo celebre pilastro dell’arte culinaria tricolore, tramandato dalle nonne e sempre decisamente attuale.
A parlarcene è Stefano Ciotti, quotato chef romagnolo (premio come migliore chef emergente nel giugno 2009, ndr ) alla guida del Carducci 76, elegante ristorante a Cattolica (Rn). La sua svolta non tocca tanto i componenti del soffritto, (che poi non è uno, guai a parlarne al singolare, ma sono tanti, e di questo vi diremo più avanti), ma riguarda la temperatura dell’olio o della materia grassa utilizzata in sua alternativa. Affinché i cibi preparati risultino più sani, più digeribili, ma ugualmente saporiti.
Con una premessa, la sua, che ci fa già capire tante cose. «Chi mi ha influenzato di più nel modo di cucinare è sicuramente mia madre, sono i suoi sapori che hanno forgiato la mia cucina, che ancora mi ispirano perché hanno la solidità di un mondo autentico».
Ma passiamo a scoprire i segreti che ci ha svelato questo mago dei fornelli legato alla tradizione e ai sapori della sua terra. Tanto per cominciare, partiamo dalla definizione di soffritto. «È l’assemblaggio di ingredienti aromatici – ci dice – con materia grassa, che vengono appunto soffritti. La materia grassa è prevalentemente olio extravergine d’oliva, noi da queste parti non usiamo il burro». Ma gli ingredienti da far soffriggere quali sono esattamente? «Non esiste un solo tipo di soffritto, ma a seconda dei piatti da cucinare si scelgono elementi diversi. Facciamo qualche esempio: si può mettere nell’olio solo aglio tritato, o solo scalogno tritato, oppure cipolla, sedano e carote. Per un piatto di spaghetti alle vongole, faremo un soffritto marino a base di olio, aglio e gambi di prezzemolo. E specifico i gambi e non le foglie, perché sono più tenaci, più resistenti con l’olio ad elevate temperatura soffrono meno, ma rilasciano un bel sapore intenso. Per fare un ragù di carne, invece, faremo un soffritto a base di cipolla, sedano e carota”.
Come premessa, un trucchetto iniziale riguarda la preparazione del trito: per gestire il procedimento al meglio è bene preparare quantitativi ingenti da insacchettare sottovuoto prima, in modo da potenziarne i profumi prima dell’utilizzo.
Veniamo alla cottura, perché è qui che la lezione di Ciotti svela i suoi più pregnanti segreti: «Gli elementi vanno messi nell’olio a freddo, si parte dal fornello spento dunque e si immerge tutto insieme, si mescola e poi si accende la fiamma. Adoperando un ampio tegame, non una padella. Nel soffritto tradizionale si raggiungono i 100° Cdi temperatura. Ma questo fa male. Per raggiungere un ottimo compromesso tra gusto e salute, invece, bisogna tenere il fuoco basso e non superare i 60-65° C. Solo così si mantengono intatte le proprietà nutrizionali dell’olio, che non si ossida, e degli altri elementi. Raggiunta la soglia limite della temperatura - che si riconosce anche a occhio nudo, quando la cipolla o lo scalogno diventano traslucidi - a quel punto è pronto per versarci gli altri elementi della preparazione. Che si tratti dell’acqua delle vongole, o della carne del ragù e via dicendo».
Ma così possiamo parlare sempre di soffritto? «No, io questa versione la chiamo “Infusione forzata”: il palato non ne risente, ma la salute ne beneficia».
La quantità di olio da mettere insieme agli aromi, è un altro di quei dubbi che aleggia da sempre sul soffritto: «L’olio deve quasi coprire il trito di aromi, dev’essere proprio a filo, né più, né meno».
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