C’è quella a zona, la mediterranea, l’iperproteica.
Quando si parla di dieta l’elenco è lungo. E così, spesso risulta difficile orientarsi e capire quale sia la più adatta al proprio organismo. Fatto sta che stando ai dati sono molti gli italiani che avrebbero bisogno di smaltire i chili di troppo: più di due milioni di persone, circa il 10 per cento della popolazione secondo i dati Istat, si mettono a dieta clinicamente. E ancora, gli obesi sono quattro milioni e uno su tre è in sovrappeso. Certo la situazione è meno drammatica degli Stati Uniti, dove la percentuale di obesi sfiora 30%, ma comunque dobbiamo fare i conti con un problema che c’è. Proprio per questo spesso si ricorre a diete fai-da-te. In realtà bisognerebbe diffidare dai miti del dimagrimento facile e valutare attentamente quale sia il regime alimentare corretto. A fare il punto sul fallimento delle diete facili l’incontro “Si fa presto a dire dieta: i falsi miti del dimagrimento facile”, organizzato a Roma dalla Fondazione Paolo Sorbini, Istituto per la scienza dell’alimentazione. Ospite Barry Sears, inventore della cosiddetta 'dieta a zona' .
Dieta a zona, pro e contro. “La chiave per capire la dieta di zona – spiega Barry Sears, lo studioso americano che negli anni Novanta ha ideato la dieta a zona e presidente della Inflammation Research Foundation – è ragionare ormonalmente e non caloricamente. L’effetto ormonale di una caloria di carboidrati infatti è differente dall’effetto ormonale di una caloria di proteine o da una caloria di grasso”. In pratica il regime alimentare messo a punto da Sears parte dal presupposto che tutte le funzioni fisiologiche dell’organismo umano sono controllate dagli ormoni ed è proprio l’equilibrio ormonale che ci mantiene in salute. Nella dieta a zona il cibo è considerato come il mezzo per il controllo del rilascio degli ormoni, anziché una semplice fonte di calorie. “Perché funzioni – continua Sears – è necessario assumere i macronutrimenti (proteine, grassi e carboidrati) in proporzioni appropriate. Ogni pasto deve sempre comprendere il 40% di carboidrati, il 30% di proteine e il 30% di grassi”.
40/30/30, cosa significa. Quando si parla di 40% di carboidrati però si fa riferimento a quelli ‘favorevoli’, il che significa soprattutto frutta e verdura. “Hanno un indice glicemico basso, e ciò significa che entrando lentamente nella circolazione sanguigna contribuiscono a mantenere bassi e costanti i livelli di insulina, impedendo così i processi di immagazzinamento sotto forma di grasso corporeo”. Le proteine, invece, devono essere quelle che contengono pochi grassi saturi, vale a dire pollo, pesce, tacchino, albume dell’uovo. Le proteine da evitare sono quelle ‘sfavorevoli’, ovvero quelle ad alto contenuto di grassi saturati: come tuorlo d’uovo e carne rossa. Anche i grassi servono: a livello ormonale eliminano il grasso. “Senza una certa quantità di grasso, il corpo entra in uno stato di allarme e di conseguenza tenterà di immagazzinare il grasso come tessuto adiposo. Il cibo assunto in queste proporzioni – conclude Sears – diventa uno stimolatore di ormoni in grado di alterare o risolvere un processo infiammatorio generato dall’obesità”.
Dieta a zona in tavola? “La dieta a zona, come tante altre diete che periodicamente escono e promettono grandi dimagrimenti – spiega il dottor Luigi Fontana, ricercatore Dipartimento di Sanità alimentare ed animale dell’Istituto superiore di sanità – sono valide nel breve periodo. Funzionano, regolarizzano l’organismo e fanno perdere peso ma solo nell’immediato. In realtà l’unico modo per dimagrire e conservare gli effetti nel lungo periodo è adottare uno stile di vita sano”. Proprio in questa direzione si muove l’Iss, continua il ricercatore, ovvero nel promuovere un’alimentazione semplice fatta di pochi cibi raffinati, di cerali integrali, di molta frutta e verdura, di carne e formaggi una volta, massimo due, alla settimana e di pochi zuccheri. A questo va associato movimento e una distribuzione corretta dei pasti durante la giornata. “Bisogna adottare un approccio sistemico – conclude Fontana – e per farlo è necessario iniziare ad imparare uno stile di vita sano tutti i giorni. Abituare la nostra mente e il nostro corpo ad avere una giusta percezione di ciò che è sano e ciò che non lo è l’unico modo per evitare di ammalarci in futuro, di accumulare chili di troppo e di far soffrire le articolazioni”.
Dieta a zona, pro e contro. “La chiave per capire la dieta di zona – spiega Barry Sears, lo studioso americano che negli anni Novanta ha ideato la dieta a zona e presidente della Inflammation Research Foundation – è ragionare ormonalmente e non caloricamente. L’effetto ormonale di una caloria di carboidrati infatti è differente dall’effetto ormonale di una caloria di proteine o da una caloria di grasso”. In pratica il regime alimentare messo a punto da Sears parte dal presupposto che tutte le funzioni fisiologiche dell’organismo umano sono controllate dagli ormoni ed è proprio l’equilibrio ormonale che ci mantiene in salute. Nella dieta a zona il cibo è considerato come il mezzo per il controllo del rilascio degli ormoni, anziché una semplice fonte di calorie. “Perché funzioni – continua Sears – è necessario assumere i macronutrimenti (proteine, grassi e carboidrati) in proporzioni appropriate. Ogni pasto deve sempre comprendere il 40% di carboidrati, il 30% di proteine e il 30% di grassi”.
40/30/30, cosa significa. Quando si parla di 40% di carboidrati però si fa riferimento a quelli ‘favorevoli’, il che significa soprattutto frutta e verdura. “Hanno un indice glicemico basso, e ciò significa che entrando lentamente nella circolazione sanguigna contribuiscono a mantenere bassi e costanti i livelli di insulina, impedendo così i processi di immagazzinamento sotto forma di grasso corporeo”. Le proteine, invece, devono essere quelle che contengono pochi grassi saturi, vale a dire pollo, pesce, tacchino, albume dell’uovo. Le proteine da evitare sono quelle ‘sfavorevoli’, ovvero quelle ad alto contenuto di grassi saturati: come tuorlo d’uovo e carne rossa. Anche i grassi servono: a livello ormonale eliminano il grasso. “Senza una certa quantità di grasso, il corpo entra in uno stato di allarme e di conseguenza tenterà di immagazzinare il grasso come tessuto adiposo. Il cibo assunto in queste proporzioni – conclude Sears – diventa uno stimolatore di ormoni in grado di alterare o risolvere un processo infiammatorio generato dall’obesità”.
Dieta a zona in tavola? “La dieta a zona, come tante altre diete che periodicamente escono e promettono grandi dimagrimenti – spiega il dottor Luigi Fontana, ricercatore Dipartimento di Sanità alimentare ed animale dell’Istituto superiore di sanità – sono valide nel breve periodo. Funzionano, regolarizzano l’organismo e fanno perdere peso ma solo nell’immediato. In realtà l’unico modo per dimagrire e conservare gli effetti nel lungo periodo è adottare uno stile di vita sano”. Proprio in questa direzione si muove l’Iss, continua il ricercatore, ovvero nel promuovere un’alimentazione semplice fatta di pochi cibi raffinati, di cerali integrali, di molta frutta e verdura, di carne e formaggi una volta, massimo due, alla settimana e di pochi zuccheri. A questo va associato movimento e una distribuzione corretta dei pasti durante la giornata. “Bisogna adottare un approccio sistemico – conclude Fontana – e per farlo è necessario iniziare ad imparare uno stile di vita sano tutti i giorni. Abituare la nostra mente e il nostro corpo ad avere una giusta percezione di ciò che è sano e ciò che non lo è l’unico modo per evitare di ammalarci in futuro, di accumulare chili di troppo e di far soffrire le articolazioni”.
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